Storia di una ricetta:
quando l’unione in cucina
fa la forza del territorio.

2023, nell’anno che unisce Bergamo e Brescia come Capitale della Cultura vogliamo raccontarvi una storia di eccellenza gastronomica, passione per il territorio e i suoi prodotti, spirito di collaborazione. Tutto questo, e molto altro ancora, è la storia di come è stato realizzato il Disciplinare della ricetta dei Casonsèi de la Bergamasca con il patrocinio della Camera di Commercio. La nostra storia dimostra come un piatto della tradizione culinaria possa essere un pilastro della cultura di un territorio, ma anche un motore per il suo sviluppo e un’eredità per il futuro.

Una ricetta
per ogni campanile

Partiamo da un dato di fatto, che chi vive o è stato a Bergamo almeno una volta ben sa: ogni valle, paese, campanile e addirittura famiglia sostiene la propria versione della vera ricetta di questo piatto identitario e dal sapore leggendario. Perché cucinare un piatto di Casoncelli significa innanzitutto convivialità: una volta i Casoncelli venivano portati in tavola in una marmitta, fumanti, conditi a strati con grana padano, burro nocciolato, salvia e pancetta, e poi serviti a ciascun commensale.

Il progetto della Camera di Commercio
fra tradizione e innovazione

Prendendo avvio da questa incommensurabile varietà, la Camera di Commercio, negli anni ’90, portò avanti un progetto per la codificazione di una ricetta univoca dei Casonsèi e di altri piatti della tradizione culinaria bergamasca. L’obiettivo era quello di individuare la migliore ricetta che coniugasse le fondamenta tradizionali del piatto e un carattere innovativo, consono alla produzione su larga scala.
Fu istituita una commissione di esperti composta da chef, storici della gastronomia e rappresentanti di alcuni raviolifici del territorio, tra cui la Poker. I commissari furono impegnati in un anno di lavori di ricerca, selezione delle materie prime e soprattutto degustazioni.
Prova dopo prova, assaggio dopo assaggio, i commissari stabilirono prima il canone degli ingredienti e poi la loro grammatura e percentuale. Solo un margine per la libera interpretazione venne lasciato in merito al soffritto, con la tassativa esclusione di margarina e oli vegetali.  Nessun dettaglio poteva essere lasciato al caso, perché l’obiettivo finale doveva essere condiviso da tutti.

Tecniche di produzione
e condivisione dei saperi

Il raviolificio Poker si calò nel progetto con grande passione e professionalità, portando avanti due convinzioni essenziali.
La prima convinzione era quella di puntare al miglioramento della tecnica di produzione industriale, attraverso l’utilizzo di materie prime di categoria superiore e l’adattamento delle prestazioni dei macchinari alle caratteristiche del prodotto. Le prove in laboratorio si concentrarono in particolare sulla composizione della pasta, la consistenza del ripieno e la loro lavorazione da parte del macchinario di produzione. L’idea era quella di ottenere l’equilibrio e la forma perfetti affinché, in cottura e all’assaggio, i Casonsèi de la bergamasca realizzati nei laboratori di produzione eguagliassero quelli fatti in casa.
La seconda convinzione, che determinò davvero la partecipazione della Poker al progetto, si fondava sull’idea che solo attraverso un’impresa corale si potessero raggiungere dei veri risultati: la condivisione di saperi, tecniche, obiettivi fu la chiave di volta dell’intero progetto. Lo stimolo a realizzare un prodotto d’eccellenza, che ponesse le basi per lo sviluppo economico di tutti gli attori coinvolti e anche di quelli futuri, con la fiducia tipicamente bergamasca nel gioco di squadra. “L’unione fa la forza” in questo caso non rimase solo un detto: a distanza di anni la Poker sostiene con fermezza i risultati che ne sono derivati a vantaggio del settore e del territorio bergamasco.

Il Disciplinare
de i Casonsèi de la Bergamasca

La serata finale di degustazione si tenne in un ristorante nel cuore di Bergamo Bassa: il Teatro Donizetti da un lato, la vista di Città Alta dall’altro, a coronare la conclusione di un progetto tutto dal sapore bergamasco, sia nelle idee sia nel palato. Partendo dalla versione della Bassa Bergamasca, fu scritta una ricetta di tradizione e spiccata identità.

Il risultato finale rappresentava il vero punto d’arrivo di una lunga storia di tradizione ed evoluzione culinaria e sociale che si protrae dal Medioevo, o forse anche prima. I Casonsèi de la bergamasca, infatti, nacquero come piatto degli avanzi perché, come diremmo a Bergamo, “as bòta vià negòt”, ma ben presto vennero elevati agli onori delle feste e dei ricchi banchetti. Ne è una prova l’utilizzo di ingredienti ricercati come le pere, gli amaretti, l’uvetta sultanina e la scorza di limone, che vennero aggiunti in un secondo momento per soddisfare i palati dei bergamaschi più facoltosi. Il disciplinare ha unito queste due nature proprio per rispecchiare l’evoluzione secolare del piatto. Trovare la quadra della ricetta perfetta non fu impresa scontata; per citare un pezzo di una filastrocca dialettale, “Tance i cret che i casonsei i saes bu töc quanc de fai” (ol Giòpa) che suona più meno così: “tanto tutti credono che i casoncelli sian tutti capaci di farli”… niente di più falso.

La versione finale della ricetta rappresenta il risultato dello straordinario impegno collettivo e dello spirito di collaborazione concertati dalla Camera di Commercio per la realizzazione di un sogno condiviso: punto di arrivo ma anche di partenza, un Disciplinare pensato per essere lasciato come eredità per il popolo bergamasco di oggi e di domani.

Una storia dal sapore leggendario

La storia dei Casonsèi de la Bergamasca affonda le sue origini nei meandri della tradizione. L’arte di impastare uova e farina, sfogliare e farcire con succulenti ripieni fa parte della tradizione culinaria bergamasca fin dai suoi albori.

E come ogni piatto identitario che si rispetti, anche il Casoncello è accompagnato da leggende popolari tramandate di generazione in generazione e da testimonianze documentali che si radicano nella Storia.

Nell’anno in cui Bergamo è Capitale della Cultura vogliamo raccontarvi alcuni aneddoti, affinché la storia del piatto orobico per eccellenza continui ad essere tramandata… buona lettura!

 

La leggenda del vecchio avaro

C’era una volta un vecchio avaro che, con suo grande dispiacere, si era trovato costretto a dare un banchetto per i suoi ospiti. Ma poiché il vecchio era anche molto furbo, trovò un modo per risparmiare sul conto ingannando i commensali. Preparò un ripieno di ingredienti sia salati sia dolci con cui riempì un raviolo, ed ecco servita sia la portata principale sia il dolce!

 

Le cucine dei monasteri

Nel passato la produzione di questi gustosi ravioli era spesso collegata ai monasteri. Nel 1187 il conte Attone concesse al Vescovo di Bergamo la proprietà della corte di Almenno in cambio del rifornimento annuale di provvigioni e derrate alimentari, fra cui si annoverano “farina e ova per fare rafioli” per le cucine dei canonici di Sant’Alessandro. Oppure ancora, nel XVII secolo si citano i Casoncelli nei documenti ufficiali del monastero della Santissima Trinità di Serina, fra le cui attività era previsto anche “operar li casoncelli”.

 

Il mercante Casoncellus

L’identità bergamasca è legata a doppio filo con il famoso piatto. Pensate che un testo veneziano del 1500 citava i Casoncelli come piatto preferito dai “facchini bergamaschi”. Ma la questione si fa addirittura personale nel caso del mercante Giovanni da Pergamo, a cui fu attribuito il soprannome “Casoncellus” , forse per i suoi gusti gastronomici o forse per la sua pinguedine che lo rendeva simile al famoso raviolo ripieno.

 

Il reato gastronomico

Non può di certo mancare un po’ di noir, come nell’episodio narrato nel Chronicon Bergomense Guelpho Ghibellinum dal notaio brembano Castello Castelli, che sembra uscito direttamente da un romanzo criminale. Nel contado di Stezzano, nei primi di aprile del 1393, si consumò un curioso omicidio. Un certo Tonolo e sua moglie architettarono l’assassinio di un contadino, sospettato di avere una tresca con la moglie di un tale Leonardino Suardi, mandante del crimine, ingolosendolo con un Casoncello avvelenato. Il malcapitato bergamasco evidentemente non aveva saputo resistere alla bontà dell’offerta… ma chi ci sarebbe riuscito?

 

La grande festa del 13 maggio

La data di nascita storica comunemente accettata viene fatta coincidere con una grande festa che si tenne in Città Alta il 13 maggio 1386 per celebrare le eroiche imprese di Gian Galeazzo Visconti. La famiglia che per molti decenni governò Bergamo decise che nobiltà e popolo avrebbero festeggiato insieme con un grande banchetto per le vie e le piazze della città. Castelli nel Chronicon Bergomense descrive bene l’euforia di quella giornata, come se avessimo partecipato anche noi. I cittadini ballavano a tre a tre e tutti ricevevano “cazonzellis” con cui riempirsi la pancia. È facile immaginare una situazione simile nelle nostre sagre… oggi come allora.

Scarpinòcc:
nati e cresciuti a Parre

Il marchio Bergamo Città dei Mille Sapori è stato attribuito anche ad un’altra famosa pasta ripiena bergamasca: gli Scarpinòcc.
Rispetto ai loro cugini Casonsèi, per i quali il Disciplinare della Camera di Commercio si dovette districare in un ginepraio di rivendicazioni e variazioni locali, gli Scarpinòcc godono di certificato di nascita e cittadinanza del paese di Parre. Immerso tra le montagne dell’Alta Val Seriana, Parre era in passato un paese di pastori che erano soliti munirsi di scarpe grosse e resistenti per camminare. Queste calzature erano chiamate in dialetto “scarpinòcc” e venivano confezionate in casa utilizzando pezze, stracci e tanto spago.

Ma come si è passati dalle scarpe ai ravioli? Come al solito è stata l’immaginazione a far volare la fantasia. La leggenda narra che un bimbo di Parre, osservando la sua mamma preparare dei grossi ravioli, si sarebbe fatto scappare un commento tanto ingenuo quanto ispirato: “i ma sömèa Scarpinòcc!”… il resto è Storia.

La ricetta tradizionale degli Scarpinòcc prevede un ripieno magro, ossia senza carne. L’ingrediente principale è il formaggio, arricchito con pangrattato, latte, uova e spezie. All’inizio del ‘900 il formaggio utilizzato dalle massaie bergamasche doveva essere la mòtela, termine del gergo gaì dei pastori bergamini che indicava una formaggella magra. La ricetta coniata dal Disciplinare prevede invece l’impiego del Grana Padano, la cui sapidità esalta il carattere del raviolo.

Conditi con tanto burro fuso, salvia e una generosa grattugiata di formaggio, potrete assaggiarli in loco alla festa del patrono parrese, il 29 giugno. Così come i Casoncelli, anche gli Scarpinòcc sono diventati un piatto della festa e, pur mantenendo intatta la loro origine povera, un marchio culinario ormai famoso e rinomato in tutto il territorio bergamasco.

Bibliografia

Foresti I., Casoncelli. Storia e identità della pasta ripiena più amata da Bergamaschi e Bresciani, Centro Studi Valle Imagna, Bergamo, 2021

Tropea Montagnosi S. (a cura di), La cucine Bergamasca. Dizionario enciclopedico, Bolis Edizioni, 2010

Camera di Commercio
Dal 1997 il marchio di qualità «BERGAMO, Città dei Mille… sapori», ideato e promosso dalla Camera di commercio di Bergamo, offre la possibilità di gustare i piatti della cucina locale nella espressione più genuina.

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